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LE PELICAN Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 14 febbraio 1974
 
di Gérard Blain, con Gérard Blain, Dominique Ravix, Danel Sarky, Régis Blain (Francia, 1973)
 

Per la prima volta, grazie al film che Gerard Blain ha girato da noi nell'estate scorsa e che sta uscendo in questi giorni a Parigi, il paesaggio del Luganese ha assunto un vero significato cinematografico. Per la prima volta, non appare in un film come semplice sfondo decorativo per fini turistici o, semplicemente, di diletto estetico; come era accaduto finora, nei numerosi documentari, o anche lungometraggi che erano stati girati nel Ticino.

In LE PELICAN il paesaggio assume invece, come sempre dovrebbe accadere nel cinema sensato, un valore determinante per il significato morale dell'opera. In esso non solo la vicenda o la psicologia del protagonista si riflettono, ma l'intera dimensione dell'opera si sviluppa e si significa.

Per i ticinesi, o i lombardi che presto potranno vedere il film, non si tratterà quindi soltanto di ammirare un'opera della quale non vogliamo anticipare dei giudizi (ma che, come diremo di seguito, sta cogliendo in Francia una rara unanimità di entusiasmo critico), ma di poter constatare, pensiamo per la prima volta, come un ambiente al quale siamo abituati, cloroformizzati quasi dal suo aspetto tradizionalmente «grazioso», possa inserirsi in una vicenda in modo drammaticamente efficace, con una concisione estetica del tutto inaspettata, un rigore espressivo estremo. Concisione, rigore che sono le strade che il cinema di Blain segue per giungere all'emozione. Uno sforzo continuo di epurare quello che è il rettangolo della composizione cinematografica da tutti quelli che sono gli elementi estranei, alla ricerca dell'essenza di un momento, della verità di una situazione. E di quella vibrazione difficile e delicata che solo possiede la dimensione dell'arte.

Il cinema di Blain, così come l'uomo, non concedono nulla. Ma non per un'egoistica fredda visione del mondo, bensì per una sicurezza, una genuinità, un'onestà nei confronti della vita che, in un modo quasi inusitatamente romantico, lo portano a portare sulle cose degli uomini uno sguardo al tempo stesso lucidamente razionale ed emotivamente sensibile. In questo connubio apparentemente inconciliabile sta una delle ragioni dellimpatto poetico di LE PELICAN .

Il film, che Blain porterà a Lugano in marzo per una proiezione «di riconoscenza » nei confronti degli amici luganesi in attesa di un distributore svizzero che lo acquisti per immetterlo nel circuito commerciale, esce ora a Parigi, accompagnato da timori di cassetta per un'opera che rifiuta la strizzata d'occhio al sistema, e confortato da giudizi superlativi, alcuni dei quali vi trascriviamo qui di seguito:

«La vicenda del film è costantemente attivata dallo strumento cinematografico e dal suo infinito potere di evocazione, di suggestione, di dilatazione o di perversione del significato immediato. Quando il protagonista ritrova la libertà dopo gli anni di prigionia scopriamo una città praticamente vuota, senza vita. Il viaggio verso la Svizzera, di notte, è anch'esso un viaggio attraverso un'altra notte, una notte che termina non sulla nascita di un giorno nuovo, ma sull'angoscia. Egualmente, l'arrivo sulle rive del lago scopre un paesaggio di sogno ma vuoto, freddo, di una immobilità spettrale. Una assenza, impossibilità di dialogo con il mondo che raggiunge il parossismo nelle sequenze di Lugano. Unico dialogo, quello muto dello sguardo, sguardo di un uomo alla scoperta di un mondo straniero, ostile come la peggiore delle giungle, quella del denaro che già condiziona e imprigiona il bambino. Il denaro, la legge, l'ordine non hanno avuto forse mai una presenza così forte come in questo film che li osserva da distante, come altrettante temibili divinità. Ogni sequenza ci è data al tempo stesso come descrizione e come giudizio. Il cinema, a questo livello, regna sovrano, reso alla sua funzione vera che non è di spiegare ma di mostrare. Occorre dire che le sequenze di Lugano sono da annoverare fra i momenti cinematografici più smaglianti che si siano visti da tempo... All'amarezza di LES AMIS fa seguito ora l'angoscia di LE PELICAN che traduce la tragica miseria dell'uomo alla ricerca dell'amore». (...) (IMAGE ET SON)

“ LE PELICAN è una tragedia nel significato raciniano del termine. Perché è la passione a trascinarci nell'abisso, così violenta da intorpidirne la purezza, trasformando il padre in criminale, vagabondo inquietante, amante respinto e ridotto al ruolo di "voyeur" ossessionato». (Le NOUVEL OBSERVATEUR)

“ Il film di Gérard Blain si basa su di uno straordinario paradosso che, credo, non è mai stato presentato. Quello che è comunemente chiamato complesso d Edipo è presente anche qui, ma audacemente rovesciato: poiché non si tratta dei sentimenti di rivolta di un figlio nei confronti del padre; ma, al contrario (e che contrario!) della passione amorosa di quel padre per il proprio figlio. Per tutta la durata del film lo spettatore vive la tensione di una trasgressione multipla (dall'incesto al voyeurismo) che egli è portato a pensare, non a constatare. E tutto questo aspetto della perversione, al quale non manca nemmeno l'aspetto sociale (disgusto per il denaro e la sua volgarità) è trascritto in un modo rigorosamente indiretto, attraverso un'arte al tempo stesso franca ed eclettica, contorta (poiché nulla è dichiarato), e sensibile (poiché vi si mostra un desiderio). Opera in definitiva enigmatica, al di fuori di ogni avanguardia e che malgrado ciò ne riunisce tranquillamente, senza mai dirlo, tutte le virtù». (ROLAND BARTHES)

 “ Un'audacia registica inconcepibile in un contesto differente. Come quell'inquadratura d'estrema purezza, di almeno due minuti, sul padre al pianoforte con il figlio ai suoi piedi, che gioca con un trenino di legno. Nessuna azione: come in Bresson, al quale si apparenta il cinema di Blain non esiste in quanto successione di avvenimenti. Non esiste una trama drammatica da seguire. La scena in questione, come molte altre, non serve a far proseguire l'intreccio. Solo contano le atmosfere e le emozioni. (...). Intreccio più che semplice, personaggi concepiti come degli archetipi cristiani, dotati di un valore esemplare a causa della loro purezza irreale nel bene e nel male, narrazione chiusa su sé stessa, poiché il punto di arrivo è lo stesso di quello di partenza. L'opera di Blain possiede una forza eccezionale che le viene da una costruzione e da uno stile vicino a quello dei pittori naifs. Copiare la realtà per riprodurne i limiti. Un'opera, forse ancora più giustificata nella propria forma che quella di Bresson, che possiede la grandezza ingenua e forte dei misteri del Medio Evo.” (ECRAN 74)


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